Abbracceremo la nostra Erica
Riflessioni su Detachment (Il Distacco)
Detachment è il film del dolore.
Il montaggio e la macchina da presa non ti lasciano scampo,
sei attaccato al personaggio, quasi inchiodato al suo primissimo piano, poi ti
mostra gli ambienti con la calma di una carrellata fantasma per esempio nei
corridoi della scuola superiore dove è ambientato il film.
Il protagonista Henry Barthes ha gli occhi tristi sia nella
finta intervista che ci accompagna per tutta la narrazione sia durante le azioni
che si susseguono nel film.
Due elementi espressivi quindi sono le colonne portanti utili a raccontare il dolore e di conseguenza anche il tema del film.
Due elementi espressivi quindi sono le colonne portanti utili a raccontare il dolore e di conseguenza anche il tema del film.
Il Primo è la scelta delle inquadrature, soffocante e senza
scampo, i primissimi piani di questo film sono volutamente nitidi, lasciando
passare tutta la durezza dell’immagine dei personaggi inquadrati. Il film è un continuo cambio d’inquadrature
traballanti, sporche, dettagli estremi dove devi faticare a riconoscere gli
oggetti, non fai in tempo a renderti conto delle immagini che le piccole
tragedie o le azioni sempre più tristi, sono già avvenute.
Guardando il film si ha l’impressione che questo uragano di
ferite sia raccontato come se fosse tutto un flash back, un incubo; dopo poco
tempo si ricollegano i pezzi e ci si accorge che è in realtà tutto un flash
back come si evince dall’intervista di Henry.
La coerenza del regista lo porta avendo già impostato tutto
il film come un ansiogeno racconto passato, ad aggiungere nel flash back del
flash back il viraggio rosso delle immagini, rendendo le immagini dell’infanzia
di Henry estrema espressione della sua tristezza e del suo disagio.
Il Secondo elemento, complementare al primo, si basa sulla
recitazione e sulla fisicità degli attori.
Occhi tristi. Gli attori hanno, portano, prestano, fingono
gli occhi tristi e lo fanno bene anche quando stanno sorridendo. Non è una
banalità perché a parer mio oltre a dipendere dalla bravura o dall’esperienza
dell’attore dipende anche da una sua caratteristica intrinseca che quindi un
regista non può costruire ma deve cercare e scegliere, non a caso Micheal
Wincott era stato considerato per il ruolo del protagonista.
Il lavoro degli attori passa attraverso due tracce, il
realismo e lo stomaco, eppure è preciso e soppesato, il ritmo è dato da Adrien
Brody, il quale comunica tanto sconforto e pericolo in tutti gli aspetti della sua vita
quanto capacità di proteggere gli altri e di farsi valere.
Il combinare quella recitazione con quella scelta registica
è praticamente “lo sconforto”, sentirsi sporchi nel mondo sporco. Esempi?
Mr. Charles Seaboldt redarguisce la ragazza asiatica senza
reggiseno, primi piani mossi e dettaglio delle foto usate da Seaboldt per
convincere la ragazza a coprirsi tra cui un close up di una vagina infetta.
La scena in cui l’insegnante Sarah Madison, viene sorpresa dalla più acuta aggressività e volgarità dalla madre di una ragazza, quest’ultima era stata spedita a casa dopo averle sputato in faccia.
La dottoressa Doris Parker (splendida Lucy Liu), psicologa
dell’istituto, sclera davanti ad una ragazzina stupida ed arrogante che nel
futuro vuole solo seguire il suo ragazzo “musicista” di una band.
La sceneggiatura sviluppa intorno al protagonista una trama
parallela legata alla sua vita privata e al rapporto protettivo che sviluppa
nei confronti di una prostituta di 14 anni, Erica. Questa sotto trama porta all’unico
piccolo momento felice della storia, quel forte e catartico abbraccio fuori dal
mondo, un momento talmente isolato dal tenore emotivo del resto del film che
forse s’ingigantisce, diventa un segno divino per sorridere.
La scrittura dimostra una cura estrema nell’intrecciare la
storia di Erica a quella di Henry, che piano si accorge di come Erica, forse
una delle ragazze più problematiche che abbia incontrato, riesca a stargli
vicino e volergli bene riuscendo ad offrire qualcosa e non solo ad essere
aiutata da lui, sembra che quella bimba sperduta rappresenti quella luce
infondo al tunnel dell’insegnamento, sembra che dia concretamente un motivo ad
Henry per sentirsi “a guidance”.
Ed è il distacco, che in altri momenti della vita sembra non avere senso, che porta Henry a sentirsi una “non-person” come dopo il suicidio della sua allieva, lo stesso distacco che rende impotente la vita di quel supplente, schiavo dell’abbandono da quando suo padre scomparve e sua madre morì; lo stesso distacco, nel caso di Erica è la scelta migliore, la scelta che può dare a lei un futuro, quell’unico centimetro di serenità del film è anche il centimetro che può dare a noi la sensazione di risolutezza della storia.
Ed è il distacco, che in altri momenti della vita sembra non avere senso, che porta Henry a sentirsi una “non-person” come dopo il suicidio della sua allieva, lo stesso distacco che rende impotente la vita di quel supplente, schiavo dell’abbandono da quando suo padre scomparve e sua madre morì; lo stesso distacco, nel caso di Erica è la scelta migliore, la scelta che può dare a lei un futuro, quell’unico centimetro di serenità del film è anche il centimetro che può dare a noi la sensazione di risolutezza della storia.
I momenti di poesia recitata o la carica espressiva degli
attori danno la sensazione di nascondere dei sottotesti che credo invece siano
del tutto esclusi. Non vedo allegorie o metafore del ruolo degli insegnanti
nella scuola pubblica americana, non vedo simboli della rabbia e del disagio
adolescenziale, non ci sono riferimenti alla solitudine, alla tristezza dell’
abuso sessuale o dell’impotenza dei “miserabili”. Queste cose le vedo come
sono, non c’è poesia in questa pellicola c’è il racconto descrittivo nitido
della tristezza di uno dei migliaia di luoghi nel mondo dove il mondo non gira.
Anche i momenti più evocativi sono in realtà estremamente concreti come la scuola
completamente vuota durante la serata di riunione genitori. Perfino l’opera
d’arte di Meredith (la studentessa suicida) è molto meno evocativa di ciò che
sembra ma estremamente concreta nel tipo di fotografie usate e nelle fisiche
pennellate cariche di vernice di cui guardando il film si può quasi sentirne l’odore;
forse questo modo crudo di raccontare e di vivere l’esperienze può essere il
modo in cui tutti viviamo quando siamo feriti quando lasciamo spazio alla
nostalgia e alla riflessioni più paranoiche, l’immaginario offerto dal regista
non si avvicina emotivamente al nostro immaginario nel momento in cui il mondo
ci chiude le porte in faccia?
Se fosse così, il distacco che vive un insegnante nel morire ogni giorno
nella sua scuola, è il distacco che tutti viviamo nell’ aprire gli occhi su un
mondo di “studenti perduti” con la speranza che prima o poi abbracceremo la nostra
Erica.
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