sabato 23 febbraio 2013

Detachment


Abbracceremo la nostra Erica

Riflessioni su Detachment (Il Distacco)



Detachment è il film del dolore.
Il montaggio e la macchina da presa non ti lasciano scampo, sei attaccato al personaggio, quasi inchiodato al suo primissimo piano, poi ti mostra gli ambienti con la calma di una carrellata fantasma per esempio nei corridoi della scuola superiore dove è ambientato il film.
Il protagonista Henry Barthes ha gli occhi tristi sia nella finta intervista che ci accompagna per tutta la narrazione sia durante le azioni che si susseguono nel film. 
Due elementi espressivi quindi sono le colonne portanti utili a raccontare il dolore e di conseguenza anche il tema del film.

Il Primo è la scelta delle inquadrature, soffocante e senza scampo, i primissimi piani di questo film sono volutamente nitidi, lasciando passare tutta la durezza dell’immagine dei personaggi inquadrati.  Il film è un continuo cambio d’inquadrature traballanti, sporche, dettagli estremi dove devi faticare a riconoscere gli oggetti, non fai in tempo a renderti conto delle immagini che le piccole tragedie o le azioni sempre più tristi, sono già avvenute.
Guardando il film si ha l’impressione che questo uragano di ferite sia raccontato come se fosse tutto un flash back, un incubo; dopo poco tempo si ricollegano i pezzi e ci si accorge che è in realtà tutto un flash back come si evince dall’intervista di Henry.

La coerenza del regista lo porta avendo già impostato tutto il film come un ansiogeno racconto passato, ad aggiungere nel flash back del flash back il viraggio rosso delle immagini, rendendo le immagini dell’infanzia di Henry estrema espressione della sua tristezza e del suo disagio.


Il Secondo elemento, complementare al primo, si basa sulla recitazione e sulla fisicità degli attori.
Occhi tristi. Gli attori hanno, portano, prestano, fingono gli occhi tristi e lo fanno bene anche quando stanno sorridendo. Non è una banalità perché a parer mio oltre a dipendere dalla bravura o dall’esperienza dell’attore dipende anche da una sua caratteristica intrinseca che quindi un regista non può costruire ma deve cercare e scegliere, non a caso Micheal Wincott era stato considerato per il ruolo del protagonista.
Il lavoro degli attori passa attraverso due tracce, il realismo e lo stomaco, eppure è preciso e soppesato, il ritmo è dato da Adrien Brody, il quale comunica tanto sconforto e pericolo in tutti gli aspetti della sua vita quanto capacità di proteggere gli altri e di farsi valere.
Il combinare quella recitazione con quella scelta registica è praticamente “lo sconforto”, sentirsi sporchi nel mondo sporco. Esempi?

Mr. Charles Seaboldt redarguisce la ragazza asiatica senza reggiseno, primi piani mossi e dettaglio delle foto usate da Seaboldt per convincere la ragazza a coprirsi tra cui un close up di una vagina infetta.
La scena in cui l’insegnante Sarah Madison, viene sorpresa dalla più acuta aggressività e volgarità dalla madre di una ragazza, quest’ultima era stata spedita a casa dopo averle sputato in faccia.
La dottoressa Doris Parker (splendida Lucy Liu), psicologa dell’istituto, sclera davanti ad una ragazzina stupida ed arrogante che nel futuro vuole solo seguire il suo ragazzo “musicista” di una band.
La Principal Carol Dearden appena rimossa dal suo incarico, dà un’annuncio tramite l’interfono a tutta la scuola mentre è stesa inerme dal pavimento del suo ufficio.



La sceneggiatura sviluppa intorno al protagonista una trama parallela legata alla sua vita privata e al rapporto protettivo che sviluppa nei confronti di una prostituta di 14 anni, Erica. Questa sotto trama porta all’unico piccolo momento felice della storia, quel forte e catartico abbraccio fuori dal mondo, un momento talmente isolato dal tenore emotivo del resto del film che forse s’ingigantisce, diventa un segno divino per sorridere.

La scrittura dimostra una cura estrema nell’intrecciare la storia di Erica a quella di Henry, che piano si accorge di come Erica, forse una delle ragazze più problematiche che abbia incontrato, riesca a stargli vicino e volergli bene riuscendo ad offrire qualcosa e non solo ad essere aiutata da lui, sembra che quella bimba sperduta rappresenti quella luce infondo al tunnel dell’insegnamento, sembra che dia concretamente un motivo ad Henry per sentirsi “a guidance”. 
Ed è il distacco, che in altri momenti della vita sembra non avere senso, che porta Henry a sentirsi una “non-person” come dopo il suicidio della sua allieva, lo stesso distacco che rende impotente la vita di quel supplente, schiavo dell’abbandono da quando suo padre scomparve e sua madre morì; lo stesso distacco, nel caso di Erica è la scelta migliore, la scelta che può dare a lei un futuro, quell’unico centimetro di serenità del film è anche il centimetro che può dare a noi la sensazione di risolutezza della storia.

I momenti di poesia recitata o la carica espressiva degli attori danno la sensazione di nascondere dei sottotesti che credo invece siano del tutto esclusi. Non vedo allegorie o metafore del ruolo degli insegnanti nella scuola pubblica americana, non vedo simboli della rabbia e del disagio adolescenziale, non ci sono riferimenti alla solitudine, alla tristezza dell’ abuso sessuale o dell’impotenza dei “miserabili”. Queste cose le vedo come sono, non c’è poesia in questa pellicola c’è il racconto descrittivo nitido della tristezza di uno dei migliaia di luoghi nel mondo dove il mondo non gira. Anche i momenti più evocativi sono in realtà estremamente concreti come la scuola completamente vuota durante la serata di riunione genitori. Perfino l’opera d’arte di Meredith (la studentessa suicida) è molto meno evocativa di ciò che sembra ma estremamente concreta nel tipo di fotografie usate e nelle fisiche pennellate cariche di vernice di cui guardando il film si può quasi sentirne l’odore; forse questo modo crudo di raccontare e di vivere l’esperienze può essere il modo in cui tutti viviamo quando siamo feriti quando lasciamo spazio alla nostalgia e alla riflessioni più paranoiche, l’immaginario offerto dal regista non si avvicina emotivamente al nostro immaginario nel momento in cui il mondo ci chiude le porte in faccia?
Se fosse così, il distacco che vive un insegnante nel morire ogni giorno nella sua scuola, è il distacco che tutti viviamo nell’ aprire gli occhi su un mondo di “studenti perduti” con la speranza che prima o poi abbracceremo la nostra Erica.

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